domenica 7 settembre 2008

SPADA E PAROLA


(grazie a Senpai Gigi Mascia!)
“LA SPADA E LA PAROLA

Nell’episodio a tutti noto del ciclope, Omero ci parla di due piani di battaglia che Odisseo concepisce per affrontare il gigante dall’unico occhio: dei due, abbandona il primo e attua il secondo.
Il primo piano era quello di uccidere il Ciclope con la spada, conficcandola nella parte mediana del petto, dove c’è il diaframma: ma Odisseo rinuncia perché pensa che, uccidendo il ciclope, eliminerebbe l’unico essere in grado di rimuovere l’enorme macigno che chiude la caverna. Qui si mostra all’opera la facoltà di Odisseo di discernere, di valutare diverse strategie e di scegliere la migliore.
Il secondo piano non prevede di uccidere: gli stadi evolutivi che lasciamo dietro di noi non devono venire distrutti, ma superati. Invale qui il principio della metamorfosi, che domina in questo canto. Metamorfosi dolorosa in senso esteriore, ma grandiosa in senso evolutivo perché permette di trasformare l’occhio unico di Polifemo (l’occhio dell’atavica, sognante chiaroveggenza) nei due occhi che tutti abbiamo oggi, fatti per vedere le cose del mondo. Perfino il ciclope, alla fine del canto, si rende conto e ammette che questo avvenimento era stato preannunciato. Gli era stato detto che sarebbe venuto un essere umano più forte di lui, che l’avrebbe vinto.
In tante fiabe si ritrova il tema della grande mole senza intelligenza (il gigante) e della piccola mole nella quale alberga l’intelligenza (il nano). La piccola mole vince ciò che, come realtà di natura, è molto più grosso. Davide vince Golia. L’ingegno ha la meglio sulla forza bruta.
Questo tema indica il movimento e il significato complessivi dell’evoluzione: la natura vince gradualmente trasformata dallo spirito e in spirito. Le forze cieche della natura sono chiamate a servire il cammino dell’intelligenza umana, non a impedirlo. In ciò consiste la vittoria del nano astuto sul gigante energumeno ma stupido.
Il secondo piano di salvezza sostituisce la spada con il palo d’ulivo tagliato, dice il testo, alla lunghezza di una tesa – cioè di due braccia allargate – che è uguale all’altezza della persona dalla testa ai piedi. La realtà principale, anche se non la sola, espressa nel palo d’ulivo è la spina dorsale.
Viene qui fatto riferimento al mistero della posizione eretta dell’essere umano: in questo canto si ripassa in rassegna tutta l’evoluzione dall’epoca in cui l’essere umano è pervenuto alla posizione eretta, all’epoca durante la quale si è appropriato della facoltà del linguaggio, fino alla nostra epoca, dove sempre più acquisisce la facoltà del pensiero.
Questi tre grandi stadi del divenire umano sono le tre grandi facoltà che ci distinguono dagli animali. Sono le tre tappe che ogni bambino deve ripetere in modo individuale dopo la sua nascita, a differenza degli animali che nascono già compiuti nella loro natura di specie.
Polifemo è in posizione orizzontale, è sdraiato (il testo lo ripete più volte), è l’essere umano che non ha ancora conquistato le forze della stazione eretta: in lui viene vinto, col palo della verticalità, lo stadio dell’antica, sognante chiaroveggenza espressa nell’occhio frontale singolo.
Una differenza sostanziale tra il piano di uccidere Polifemo e quello di accecarlo è la scelta tra un’evoluzione senza continuità e un’evoluzione in base a trasformazione. Il secondo piano, quello poi adottato da Odisseo, non uccide l’essere umano già esistente ma gli trasforma la vista, unificando nel divenire sia la continuità sia l’innovazione.
Nel Vangelo di Giovanni, al momento della cattura del Cristo, vediamo da un lato i soldati e dall’altro Pietro che tira fuori la spada e taglia l’orecchio al servo. Anche qui abbiamo la spada, come nel primo piano di Odisseo, ma in relazione all’orecchio: anche l’orecchio, infatti, è riferito al mistero della parola perché la bocca la emette e l’orecchio la riceve.
La spada di Pietro è la parola che ferisce, che manipola l’altro: quindi offende l’orecchio. E il Cristo gli dice:” Rimetti la spada nel fodero, perché che di spada ferisce di spada perisce”. Chi manipola con la parola verrà lui stesso manipolato, perché non conosce quella libertà grazie alla quale gli esseri umani si dicono soltanto ciò che è e lasciano ad ognuno la decisione individuale su ciò che deve fare.
La tentazione evangelica di buttarsi giù dal pinnacolo (alto e luminoso) del tempio è la tentazione sempre in corso di abdicare alla facoltà luminosa e libera del pensiero e di abbandonarsi alla sfera “bassa” degli istinti e delle brame. Ulisse vince il Ciclope con la luce del pensiero, non rinunciando al pinnacolo del tempio (il “tempio” è esse stesso un’immagine del corpo umano, col “pinnacolo” che è la testa – più o meno pensante).”

(Brano tratto da: Pietro Archiati, “ODISSEA un viaggio nei misteri dell’evoluzione umana”,
Ed. Scienza dello Spirito, 1999, Roma)

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