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martedì 30 giugno 2009
giovedì 23 aprile 2009
Hillel
“Gesù sapeva perfettamente quanto avesse contato per molti il vecchio Hillel*, che aveva goduto di una grande considerazione come maestro in seno all’ebraismo anche nei difficili tempi di erode. Era un uomo dall’anima ricca di tesori di saggezza, e Gesù sapeva quanto poco le parole interiori pronunciate da Hillel avessero trovato ricezione nei cuori e nelle anime. Tuttavia si era detto di lui: ls Torah, somma delle più antiche e importanti leggi sull’ebraismo, era oscurata, e Hillel l’aveva ristabilita. A quelli tra i suoi contemporanei che lo comprendevano, Hillel appariva come un rinnovatore della saggezza originaria ebraica; era un maestro che anche viaggiava come un vero insegnante di saggezza. La mitezza era il suo carattere fondamentale, era una specie di Messia; lo afferma anche il Talmud, e lo si può riscontrare anche sulla base dell’erudizione ufficiale. La gente era prodiga di lodi per Hillel e ne diceva un gran bene. Scelgo solo alcuni esempi per accennare al modo in cui Gesù di Nazareth parlò di Hillel a sua madre, onde indicare l’atteggiamento della sua anima.
Hillel veniva descritto come un uomo dal carattere dolce e mite che poteva ottenere moltissimo con la mitezza e l’amore. Si è conservato un aneddoto che può in particolare mostrare che Hillel era un uomo paziente e dolce, conciliante con tutti. Due tali avevano scommesso sulla possibilità o meno di stimolare Hillel alla collera, dato che era noto che egli non poteva adirarsi. Uno dei due disse: voglio far di tutto per farlo arrabbiare e così vincere la scommessa. Egli bussò alla porta di Hillel quando questi era quanto mai occupato a preparare il sabbat, proprio nel momento in cui non era lecito disturbare uno come lui. Dunque lo scommettitore bussò alla porta di Hillel e lo affrontò in modo tutt’altro che gentile e senza alcun preambolo; eppure Hillel, come sovrintendente della massima autorità spirituale, era abituato ad essere interpellato con ripetto. Invece quell’uomo lo apostrofò semplicemente così: Hillel, vieni fuori alla svelta; Hillel indossò il mantello e uscì. L’uomo disse in tono aspro, senza la minima gentilezza: Hillel, ho da chiederti qualcosa. Hillel rispose con benevolenza: mio caro che cosa hai da chiedermi? Ho da chiederti perché i babilonesi hanno teste così smilze. Hillel rispose in tono dolcissimo: ecco, mio caro, i babilonesi hanno teste tanto smilze perché hanno levatrici poco abili. L’uomo se ne andò, notando che anche quella volta Hillel si era mantenuto calmo, e Hillel tornò al suo lavoro. Dopo pochi minuti quel tale ritornò e distolse di nuovo bruscamente Hillel dal suo lavoro: Hillel, vieni fuori, ho da chiederti qualcosa d’importante! Hillel si rimise il suo mantello sulle spalle, uscì di nuovo e disse: ebbene, mio caro, che cosa hai da chiedermi? Ho da chiederti perché gli arabi hanno occhi tanto piccoli. Hillel rispose con gran pazienza: perché il deserto è tanto grande che a contemplarne la vastità gli occhi si restringono; per questo gli arabi hanno occhi tanto piccoli. Di nuovo Hillel aveva mantenuto la calma. Quel tale divenne molto ansioso per la sua scommessa, ritornò ancora e chiamò Hillel per la terza volta, in tono brusco: Hillel, vieni fuori, ho qualcosa d’importante da chiederti! Hillel prese il mantello, uscì e chiese con immutata calma: ebbene, mio caro, che cosa hai da chiedermi stavolta? Ho da chiederti: perché gli egiziani hanno i piedi piatti? Perché le loro contrade sono molto paludose; ecco perché gli egiziani hanno piedi piatti. Tranquillo e sereno Hillel tornò al suo lavoro. Qualche minuto dopo l’uomo ritornò e disse ad Hillel che non aveva nulla da domandargli, ma solo da spiegargli che aveva scommesso che lo avrebbe portato ad arrabbiarsi, e non sapeva come riuscirci. Allora Hillel disse pacificamente: mio caro, è meglio che tu perda la scommessa, piuttosto che Hillel vada in collera!”
*vissuto dal 75 a.C. al 4 d. C.
(R. Steiner, Il quinto vangelo, O. O. 148)
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domenica 5 aprile 2009
Palme e ulivo

"Si racconta che un dotto in scienze naturali (deve essere avvenuto il Inghilterra) disse che preferiva immaginarsi di essere giunto ad essere uomo per forza propria, di essere giunto alla sua attuale condizione superiore trasformandosi a poco a poco dallo stadio scimmiesco, piuttosto che immaginarsi di essere caduto tanto in basso, come uomo, dalle altezze divine di un tempo, come pareva aver fatto il suo avversario, il quale non poteva credere alle semplici rappresentazioni scientifiche. Simili episodi indicano quanto sia necessario trovare la via che porti a dire "Non io, ma l'animale evoluto in me", ma "Non io , ma il Cristo in me". Bisogna cercare di capire queste parole di Paolo; solo allora un vero messaggio pasquale potrà di nuovo entrare nella nostra coscienza dalle profondità della nostra anima."
(R. Steiner, "Pasqua, la festa dell'esortazione". I° conferenza, Dornach, 2 aprile 1920, Venerdì santo. Edizioni Arcobaleno. O.O.198)
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domenica 29 marzo 2009
La borsa del pastore: un antico rimedio erboristico....(qui il link)

"La cornacchia volata sulla strada
con la bacca nel becco scintillante
ti dona il suo pensiero ovunque vada,
ricolma la tua anima esitante.
Anche la borsa del pastore parla
della spirale dei suoi verdi cuori,
a chi la colga sol per ammirarla
nella corona di candidi fiori.
Non tace la Natura se l'ascolti
nutrendoti di luce mattiniera
rispecchiata da mille e mille volti,
nella trama del sole, dolce e austera,
gioiosa a tratti. E a te son tutti vòlti
gli attimi intensi della vita vera."
(Giancarlo Cimino)
venerdì 13 marzo 2009
giovedì 12 marzo 2009
giovedì 26 febbraio 2009
Norfieddu, Dea Madre e... le figure femminili
Ancestrale Contemporaneo,
Carnevale Iglesiente 2009
19 FEBBRAIO
PRIMA APPARIZIONE
La notte del primo giorno, le maschere del Carnevale Iglesiente, girano silenziose, come ombre fuggite al destino della contemporaneità, per le vie del centro storico.
Il loro compito è quello di catturare e liberare la popolazione iglesiente impadronendosi degli aspetti negativi manifestati durante l’inverno ( sospetto, invidia, indifferenza, testardaggine, saccenza, intrigo). Norfieddu in quanto spirito, non ancora imprigionato in un pupazzo, gira libero scatenando il panico e stimolando, per reazione, proprio quegli umori negativi che la gente si tiene ancora dentro. Ad ogni reazione negativa, le maschere catturano l’atteggiamento liberando la persona da questa negatività.
24 FEBBRAIO
SECONDA APPARIZIONE
La seconda sera vede protagonisti i personaggi-vittima, cercare sostegno per il processo che si terrà nella serata finale. Le vittime di quest’anno sono tutte donne, quattro maschere raffiguranti la quattro condizioni-stagioni della donna. Tra le vie del centro le vittime prescelte vengono attaccate dalle maschere tipiche, cariche delle negatività che hanno preso dalla popolazione. Norfieddu cercherà di difenderle, ma gli atteggiamenti negativi fanno subito strada nei cuori delle vittime ed il povero folletto, brutto e nero come la miniera, contribuisce solo ad aumentare il panico tra le donne. Solo la Dea Madre sembra consolare Norfieddu, mentre la popolazione non da alcun peso ai suoi avvertimenti, scambiandolo per un pazzo e ridendo del suo buffo movimento.
28 FEBBRAIO
PROCESSO E ROGO DI NORFIEDDU
Quest’anno il processo racconta il confronto tra il bello ed il brutto, il buono e cattivo, in una parodia grottesca giocata tra l’ancestrale ed il contemporaneo. Come sempre le sei maschere tipiche ( Suspettosu, Intragneri, Oghiànu, Indiferenti, Corriatzu e Sabiu) e le altrettante vittime di questi atteggiamenti danno vita al Processo, al corteo ed al Rogo di Norfieddu. L’inquisitore, processerà e condannerà Norfieddu reo di tutti i mali, compreso quello di aver istigato e plagiato le quattro vittime ( tzia Pipia, tzia Isposa, tzia Mamma e tzia Viuda). In realtà sono stati l’Inquisitore e le altre maschere, mentre il povero spiritello cercava di difenderle, ma questo la gente, ignara dei linguaggi, dei riti e dei significati ancestrali, non lo sa. La Dea Madre in persona protegge lo spiritello Norfieddu, sostituendolo con un pupazzo che andrà al rogo al suo posto, illudendo la gente di essersi liberata dei mali, ma soprattutto appagando lo spirito negativo delle maschere tipiche, che dopo il rogo faranno ritorno nell’inverno. In questo modo anche gli atteggiamenti negativi della popolazione ritorneranno nella normalità, senza gli eccessi manifestati in questo periodo. Lo spirito di Norfieddu ritornerà il prossimo inverno, dopo l’estate, l’autunno e con il suo spirito libero darà inizio alla primavera, alla rinascita della terra, della gente, di questa terra, di questa gente, la più bella, la più vera del Mediterraneo. Alla festa il pupazzo, alla tradizione il significato.
"Norfieddu scancioffau d'anti abbruxau" sancisce la cittá all'unisono, e se ne torna a casa a prepararsi per la Quaresima.
Pino Giampà
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c'era una volta...,
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U.F.O.
lunedì 23 febbraio 2009
Carnevale ad Iglesias:"Norfieddu scancioffau d'anti abbruxau"

"NORFIEDDU" ( Maschera tipica iglesiente.Idea e realizzazione: Pino Giampà)
Sulla scia dei buoni risultati raggiunti lo scorso anno, il programma per il Carnevale 2009 si fonda su tre principi fondamentali: un programma di qualità, il coinvolgimento attivo della cittadinanza e la riproposizione del Processo e del Rogo a Norfieddu.
L'intento del progetto è quello di dare alla manifestazione una dimensione popolare, puntando al coinvolgimento di tutta la città, perchè i cittadini siano i veri protagonisti della festa. Non solo spettatori ma protagonisti. I giorni scelti per lo svolgimento delle principali manifestazioni sono: giovedì 19 febbraio, martedì 24 febbraio e sabato 28 febbraio.
NORFIEDDU. In riferimento al Processu a Norfieddu, la rievocazione sarà affidata anche quest'anno al Prof. Pino Giampà. Il titolo scelto per l'edizione 2009 è “Ancestrale e Contemporaneo”. Il Processo a Norfieddu si svolgerà in Piazza Municipio e sarà preceduto da due “apparizioni” per le vie del Centro Storico.
Prima apparizione. La notte del primo giorno le maschere del Carnevale Iglesiente, ancestralmente ispirate agli umori tipici della popolazione, girano silenziose e minacciose per le vie del centro storico, come ombre fuggite al destino della contemporaneità.
Seconda apparizione. La seconda sera vede protagonisti i personaggi, vittime degli avvenimenti di quest’anno, cercare sostegno per il processo che si terrà nella serata finale.
Processo a Norfieddu. Quest’anno il processo vedrà a confronto il bello ed il brutto, il buono e cattivo, in una parodia grottesca giocata tra l’ancestrale ed il contemporaneo. Come sempre le sei maschere tipiche (Suspettosu, Intragneri, Oghiànu, Indiferenti, Corriatzu, Sabiu) e le altrettante vittime di questi umori daranno vita al Processo, al corteo ed al Rogo di Norfieddu.
Come ormai tradizione il pupazzo gigante di Norfieddu sarà realizzato e portato in corteo dal Gruppo Folk “Città di Iglesias”.













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Una fiaba per la pittura ad acquerello...

LA PRINCIPESSA CANDORE
C’era una volta un Regno, lontano lontano, sopra il monte più alto della Terra, così in alto che era completamente immerso nel cielo e più in alto non si poteva, perché le torri del castello avrebbero toccato il Sole e le stelle. Ed il Sole era così vicino che tutti i colori si erano riempiti di luce tanto da non distinguersi più l’uno dall’altro.
Là viveva una principessa bellissima; era luminosa e raggiante, come tutte le cose e gli abitanti di quel regno. Per questo il re alla sua nascita l’aveva chiamata “Candore” e le aveva posto sul capo una coroncina di diamanti. Tutto in lei risplendeva della luce più chiara e più pura: la sua pelle era bianca, come fiocchi di neve ed i suoi capelli erano fini, come fili di seta e d’argento. La regina allora le cucì un abito, tessuto con lana di nuvola e ricamato con piccole perle.
La principessa aveva per compagna una colomba: anch’essa era tutta bianca e, con i suoi dolci canti, sapeva raccontarle molte storie. Quelle che la principessa preferiva narravano dei mille colori che avvolgevano le cose della terra sotto il monte, dove ogni giorno la colomba scendeva.
Il vento guidava le sue piumose ali ed essa sorvolava i mari e le valli. Quando era stanca, si posava per ristorarsi e per scegliere piccoli doni da portare alla principessa Candore. Erano innumerevoli i viaggi che compiva, poiché si era accorta che i suoi canti rendevano più lieta la fanciulla. Viaggiò così spesso, che le sue zampette, toccando il suolo, ed il becco, che portava i doni, si erano tinti di un caldo colore arancio.
La principessa infatti non poteva scendere fin là, poiché così bianca e lucente com’era, nessuno avrebbe potuto avvicinarla senza restarne abbagliato.
Di ritorno da uno dei suoi viaggi, un giorno la colomba portò in dono un rametto di pesco, appena fiorito.
La fanciulla, che cresceva e diveniva ogni giorno più bella, quando lo prese tra le dita, subito se ne innamorò e guardando quei delicati fiori, le nacque nel cuore- per la prima volta -un desiderio:
- Oh, se la mia pelle fosse rosea come i tuoi petali! Oh, se queste tenere foglie potessero verdeggiare dove poso il mio piede!-
In quel regno così vicino al cielo e alle stelle, i desideri del cuore molto spesso divenivano realtà: ecco dunque comparire sulle bianche gote della principessa un bel colorito vivace ed anche il prato dove essa camminava diventò tutto verde !
-Vola ancora, cara colombella, fammi un altro dono, te ne prego.- disse la principessa alla sua amica, ed essa partì.
Di ritorno la colomba, che si era riposata sulle sabbiose rive dell’oceano, le portò in dono un pezzetto di rosso corallo e due gocce di azzurro mare.
-Oh, che fervido e magnifico colore avvolge questo corallo! E quali profondità si celano nelle azzurre trasparenze di quest’acqua! Come vorrei…. -
Ma non riuscì ad esprimere completamente tutto il suo stupore, che già, tra le parole, le labbra si tingevano di rosso ed i suoi occhi di azzurro e potevano finalmente vedere ora il cielo sfumato di blu.
Quella sera la principessa si addormentò presto, felice e gioiosa come non era mai stata, e fece lunghi sogni, tutti colorati.
- Colombella, è già mattino! Vola veloce e lontano e portami ancora un altro dono!-
Fu questa la prima frase che disse al suo risveglio alla sua amica, e l’attesa del ritorno le fece conoscere l’impazienza.
Nella valle la primavera era già molto avanti e nei campi gli uomini e le donne lavoravano per falciare le messi. La colomba trovò facilmente di che ristorarsi e, scelti i piccoli doni, ripartì verso il candido regno. Nel becco portava una spiga di grano d’orato ed un rametto di odorosa lavanda.
-Chicchi di sole raggiante mi hai portato, colombella mia cara! Ed insieme a questo delicato profumo violetto si intrecciano ricordi e speranze! -
E mentre diceva queste parole, si mise la spiga tra i capelli, che iniziarono a biondeggiare e a trattenere i raggi del sole, ed il rametto, che aveva posato sul suo grembo, le tinse di violetto il bel vestito.
-Colombella mia cara, ora và ancora, portami un ultimo dono, affinchè io possa desiderare qualcosa per il mio regno!
La colomba volò a lungo questa volta, perché non riusciva a riconoscere quale fosse il dono più adatto. Si lasciò trasportare dai venti, le sue ali non si opposero alle tempeste, finchè, ritornate brezze di sereno, vide qualcosa di immenso che balenò nel cielo, come se un magico arco avesse scoccato una freccia per descriverne l’ampia curva. Trovata la colorata freccia la prese nel becco per tornare là, dove era attesa.
-Grazie colombella cara, questo è tra i doni il più generoso.
Porgerò dunque questa freccia magica al mio valoroso arciere: egli per sette volte la scoccherà dalla torre più alta, ed ogni colore, con il suo splendore, finalmente avvolgerà tutto il reame, e tutti insieme nella loro armonia ci farnno ascoltare i cori degli angeli.
(Laura della Gatta)
venerdì 13 febbraio 2009
POESIE D'INVERNO e voci
L'usura del corpo si svende
fra petali densi d'arsura
se filtrano l'aria che tende
l'aurora, la vita ventura
e semina tempo agli umani
ardori che ondeggiano miti
fra folle svanite ed inani
riscritte su fogli sbiaditi.
Il segno dell'epoca assente
si scorge, con sforzo, lontano:
è fulgido resto perdente,
gioiosa foresta d'ontano
sul fiume nascosto, ridente
che ora ti prende per mano.
(Giancarlo Cimino)
Io ora vedo argentati arbusti e rami
rinsecchiti, che umidi riposano, partiti al sole.
Tra quanto torneranno,
con rinnovate fronde?
(Laura della Gatta)
D’argento la caligine
s’accende all’età viva
nel dare la vertigine
che più da lungi arriva.
Arbusti e rami secchi
si volgono all’ossuto
bulicame dei vecchi,
poiché non è taciuto.
Ridona lustro all’abito
che fu lucente seta,
dischiudi tosto l’adito
alla vita segreta.
(Giancarlo Cimino)
…e allora se scosto la tenda turchina,
se guardo sempre lo stesso albero dalla stessa finestra…
il presente ora dona picchiettante grandine agli stessi occhi…
e oltre vedono allegre e lanute capre solleticare agili gli scogli erbosi.
E già sono oltre…
(Laura della Gatta)
venerdì 6 febbraio 2009
Percorsi e dialoghi...nel quotidiano "scarabocchiarsi" della vita.

(NATO FRASCA'."Vendome". Parigi, 1961.Tecnica mista su carta.)
"L'Arte è, comunque, quell'attività creativa che permette, meglio di ogni altra incombenza o lavoro, di stabilire rapporti vitali completi, soddisfacenti e armonizzanti la persona umana ma, come sottolinea Jung, a patto che si istaurino rapporti creativi tra il singolo e gli elementi archetipali che emergono dall'inconscio; grazie a questo processo di trasformazione dinamica attivo-creativa, sotto forma di elementi archetipici, tali forme arcaiche presiedono (come le forze ctonie della mitologia) alla vita dell'inconscio e non debbono essere né subite, né ignorate ma interiormente accettate come poli di una dialettica creatrice.
Il dialogo creatore con sé stessi è proprio quanto si può e si deve agire attraverso l'autentica azione artistica; per quanto essa va considerata implicitamente terapeutica e altamente scientifica (se scienza è conoscenza, e nuova conoscenza è vera co-nascenza).
Nel dialogo artistico riescono fondersi, grazie alla turbolenza creativa che metabolizza e trasforma, sia le forze coscienti che quelle inconscie: sta all'artista raggiungere quell'equilibrio che non permetta a nessuna di esse di agire sopraffazione sull'altra."
(Nato Frascà, da "L'arte all'ombra di un'altra luce. Viaggio nello scarabocchio degli adulti attraverso la Psiconologia".Progetto editoriale di Franca D'Angelo Frascà. maggio 1998, Roma.)
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martedì 3 febbraio 2009

(acquerello di Gabriella, 3° media)
La ronda della vita ad una ad una
illumina delle illusioni il manto
e le dissolve e dona alla Fortuna,
trasfigurata in Fato, il dolce canto.
E noi nuotiamo nel gorgo cangiante,
icona al vuoto vortice solare,
nell’ansia che ci colga quell’istante
che non arriva, e ci farà volare.
Il gioco dei pensieri ci sostiene,
con la memoria impavida del vento
e interroga la Sfinge che trattiene
con ali oscure al dubbio ed al tormento.
E l’onda, che quel turbine mantiene
ancora ispira, e insegue ogni momento.
(Versi di Giancarlo Cimino)
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