martedì 27 gennaio 2009
La panchina dell'ottuagenario
“[…]Io, vedete, se avessi rilevato ogni mia regola morale dalla dottrina, sarei rimasto un gran birbaccione; e se cito me non è né par ammenda, né per orgoglio; è per recare in mezzo un fatto del quale non possiate dubitare. Letta poi che abbiate questa vita, e qualunque sieno le vostre opinioni, dovete confessare che, se non ho fatto molto bene, potevo operare molto maggior male. Ora del male che non operai, tutto il merito ne viene a quel freno invincibile della coscienza, che mi trattenne anche dopo che cessai di credermi obbligato a certe formule. Il fatto era che non credevo più, ma sentivo sempre di dover fare a quel modo; e poco cristiano alle parole, lo ero poi scrupolosamente nei fatti in tutte quelle infinite circostanze nelle quali la moralità cristiana concorda colla naturale. Se voi mi proverete che diventando usuraio, spergiuro, venale, assassino io sarei stato più utile alla società, consentirò allora con voi che sia perfettamente inutile dare un appoggio filosofico ed assoluto anche ai precetti morali della religione. Senzachè, colla lettera del testo si può giocare di scherma, e stabilire contr’essi la battaglia ordinata della casuistica; ma coi sentimenti, eh maestri miei, non v’ha scherma o casuistica che tenga! Se si opera a ritroso ne siamo tosto puniti dai rimorsi, che sono forse meno formidabili ma più presenti dell’inferno.[…]”
(da “Le confessioni di un ottuagenario”, I. Nievo)
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