lunedì 20 aprile 2009
venerdì 17 aprile 2009
Nuove frontiere
vai su art a part culture

di Pino Giampà
| E’ una grande isola, la Sardegna, dove il contemporaneo può essere popolare ad una collettività capace di trovare nella qualità dell’arte -appunto: contemporanea- un punto di riscatto dalla sua separazione economica e culturale.Il Man di Nuoro ma anche e soprattutto la creazione, a Cagliari con la ex Manifattura Tabacchi, del primo Distretto Culturale evoluto in Italia, sono i veri protagonisti di questa vicenda; lo sono, certamente, insieme a tanti altri luoghi e spazi per l’arte contemporanea e all’impegno attivo di quanti si fanno carico di aprire uno sguardo sulle proposte culturali più interessanti, emergenti, sperimentali, considerando che, oltre a ciò, e a quelle cattedrali-nel-deserto a Nuoro e a Cagliari, su tutto l’ampio territorio non esiste nessuna galleria d’arte contemporanea privata degna di questo nome.
Sì, ci sono gallerie che ospitano giovani artisti, ma esse operano in un mercato praticamente inesistente, comportandosi di conseguenza, senza rinunciare peraltro a piccole forme di dittatura curatoriale che dura giusto il tempo di divorare i piccoli risparmi degli sprovveduti galleristi e di collezionisti rari ed occasionali, salvo poi mandare tutto alla deriva per fiondarsi verso qualche altro volenteroso che ancora non ha capito che, in Sardegna, l’arte è vissuta più come una forma da guardare che da acquistare.
Eppure, di curatori e collezionisti di un certo rilievo ce ne sono, ma vivono principalmente preoccupandosi di collegarsi con quello che passa il resto del modo (dell’arte), evitando -chissà perchè- di sostenere con impegno e costanza almeno una galleria locale. Naturalmente, sono però anche subito disposti ad acquistare almeno una piccola opera dell’artista sardo che fa mostre nel continente, facendo leva sulla sua personale intraprendenza spesa in spazi e luoghi che non sono certo il must del mercato… Ma, va detto, qui non passa molta differenza tra De Carlo, Marconi e Marconi, l’altro, quello di Cupramarittima, fermo restando che quest’ultimo gallerista è comunque di un livello che le giovani gallerie sarde non hanno certo ancora raggiunto…
Eppure, in questo desolante panorama, sono gli spazi istituzionali, con curatori di altissimo livello a far parlare della Sardegna come di un isola felice per l’arte contemporanea anche se, in realtà, tutto questo avviene sfruttando il provincialismo diffuso; così, passano come qualcosa di utile al territorio delle esperienze molto lontane dal talento, dalla creatività e, soprattutto, dalla cultura di un popolo che in questo modo viene così ad essere aggirata e raggirata. Non fraintendiamoci: è straordinario scoprire mostre ed artisti che di solito si incontrano nelle più importanti rassegne internazionali; ma è il vuoto che circonda tutto questo che ci lascia disorientati.
Il discorso sui distretti culturali, portato avanti da Pierluigi Sacco, ha cercato di porre rimedio a tutto questo. Ma a pagare un duro prezzo restano una moltitudine di artisti, isolani ed isolati, che per la verità mantiene, nonostante tutto, un discreto livello di produzione. Questa, la produzione, più che accettabile, non è però stimolata ed indirizzata da strategie e da confronti nè culturali nè curatoriali che solo una galleria privata, realmente interessata alla produzione e divulgazione sul mercato, può contribuire a costruire.
In questa deriva, vedere almeno due generazioni di artisti potenzialmente validi che partecipano a mostre insostenibili da ogni punto di vista, con installazioni e performances a dir poco grottesche e presuntuose, non contribuisce certo ad incentivare un corretto avvicinamento del pubblico all’arte contemporanea; semmai, sembrano autorizzare i curatori istituzionali nel continuare a cercare altrove questa produzione.
L’iniziativa dell’associazione Cherimus (Emiliana Saiu, Matteo Rubbi, Marco Colombaioni) ha provato, invece, a fare arrivare -in residenza- artisti come Alfredo Jaar, Jeorge Orta, Alberto Garutti, accompagnati da curatori internazionali, per poter interagire direttamente con la popolazione locale; questa sembra essere la strada da perseguire, insieme a quella di Pierluigi Sacco, per dimostrare in pieno le potenzialità di un arte che potrebbe essere destinata a diventare una vera e propria forma di welfare per i cittadini spingendo questi ultimi a riscoprire la propria memoria e a guardare con fiducia all’avvenire; mettendoli in grado di dare voce alle proprie esigenze e ai propri bisogni; dando loro modo di partecipare ai processi di pianificazione ambientale ed urbana; insomma: permettendogli di cogliere tutte le opportunità economiche, sociali, formative e culturali del territorio.
Comunque, nonostante una comprensibile diffidenza da parte di alcuni amministratori locali, altre iniziative stanno nascendo in tal senso, soprattutto nel Sulcis Iglesiente, il quale potrebbe vedere una via di uscita dalla crisi del suo distretto industriale primario proprio grazie all’azione e all’attenzione che l’arte e la cultura stanno rivolgendo a questo territorio.

Immagini:
* Performance di Eleonora Di Marino durante l’Estate Iglesiente
* Alfredo Jaar, Emiliana Sabiu e Bartolomeo Pietromarchi nel Sulcis Iglesiente
Leggi anche:
* http://www.artapartofculture.org/2008/08/30/qualcosa-si-muove-a-carbonia-iglesias…
* http://www.artapartofculture.org/2008/08/26/notteggiandoa-iglesias-dedicata-a-j-be…

di Pino Giampà

| E’ una grande isola, la Sardegna, dove il contemporaneo può essere popolare ad una collettività capace di trovare nella qualità dell’arte -appunto: contemporanea- un punto di riscatto dalla sua separazione economica e culturale.Il Man di Nuoro ma anche e soprattutto la creazione, a Cagliari con la ex Manifattura Tabacchi, del primo Distretto Culturale evoluto in Italia, sono i veri protagonisti di questa vicenda; lo sono, certamente, insieme a tanti altri luoghi e spazi per l’arte contemporanea e all’impegno attivo di quanti si fanno carico di aprire uno sguardo sulle proposte culturali più interessanti, emergenti, sperimentali, considerando che, oltre a ciò, e a quelle cattedrali-nel-deserto a Nuoro e a Cagliari, su tutto l’ampio territorio non esiste nessuna galleria d’arte contemporanea privata degna di questo nome.
Sì, ci sono gallerie che ospitano giovani artisti, ma esse operano in un mercato praticamente inesistente, comportandosi di conseguenza, senza rinunciare peraltro a piccole forme di dittatura curatoriale che dura giusto il tempo di divorare i piccoli risparmi degli sprovveduti galleristi e di collezionisti rari ed occasionali, salvo poi mandare tutto alla deriva per fiondarsi verso qualche altro volenteroso che ancora non ha capito che, in Sardegna, l’arte è vissuta più come una forma da guardare che da acquistare.
Eppure, di curatori e collezionisti di un certo rilievo ce ne sono, ma vivono principalmente preoccupandosi di collegarsi con quello che passa il resto del modo (dell’arte), evitando -chissà perchè- di sostenere con impegno e costanza almeno una galleria locale. Naturalmente, sono però anche subito disposti ad acquistare almeno una piccola opera dell’artista sardo che fa mostre nel continente, facendo leva sulla sua personale intraprendenza spesa in spazi e luoghi che non sono certo il must del mercato… Ma, va detto, qui non passa molta differenza tra De Carlo, Marconi e Marconi, l’altro, quello di Cupramarittima, fermo restando che quest’ultimo gallerista è comunque di un livello che le giovani gallerie sarde non hanno certo ancora raggiunto…
Eppure, in questo desolante panorama, sono gli spazi istituzionali, con curatori di altissimo livello a far parlare della Sardegna come di un isola felice per l’arte contemporanea anche se, in realtà, tutto questo avviene sfruttando il provincialismo diffuso; così, passano come qualcosa di utile al territorio delle esperienze molto lontane dal talento, dalla creatività e, soprattutto, dalla cultura di un popolo che in questo modo viene così ad essere aggirata e raggirata. Non fraintendiamoci: è straordinario scoprire mostre ed artisti che di solito si incontrano nelle più importanti rassegne internazionali; ma è il vuoto che circonda tutto questo che ci lascia disorientati.
Il discorso sui distretti culturali, portato avanti da Pierluigi Sacco, ha cercato di porre rimedio a tutto questo. Ma a pagare un duro prezzo restano una moltitudine di artisti, isolani ed isolati, che per la verità mantiene, nonostante tutto, un discreto livello di produzione. Questa, la produzione, più che accettabile, non è però stimolata ed indirizzata da strategie e da confronti nè culturali nè curatoriali che solo una galleria privata, realmente interessata alla produzione e divulgazione sul mercato, può contribuire a costruire.
In questa deriva, vedere almeno due generazioni di artisti potenzialmente validi che partecipano a mostre insostenibili da ogni punto di vista, con installazioni e performances a dir poco grottesche e presuntuose, non contribuisce certo ad incentivare un corretto avvicinamento del pubblico all’arte contemporanea; semmai, sembrano autorizzare i curatori istituzionali nel continuare a cercare altrove questa produzione.
L’iniziativa dell’associazione Cherimus (Emiliana Saiu, Matteo Rubbi, Marco Colombaioni) ha provato, invece, a fare arrivare -in residenza- artisti come Alfredo Jaar, Jeorge Orta, Alberto Garutti, accompagnati da curatori internazionali, per poter interagire direttamente con la popolazione locale; questa sembra essere la strada da perseguire, insieme a quella di Pierluigi Sacco, per dimostrare in pieno le potenzialità di un arte che potrebbe essere destinata a diventare una vera e propria forma di welfare per i cittadini spingendo questi ultimi a riscoprire la propria memoria e a guardare con fiducia all’avvenire; mettendoli in grado di dare voce alle proprie esigenze e ai propri bisogni; dando loro modo di partecipare ai processi di pianificazione ambientale ed urbana; insomma: permettendogli di cogliere tutte le opportunità economiche, sociali, formative e culturali del territorio.
Comunque, nonostante una comprensibile diffidenza da parte di alcuni amministratori locali, altre iniziative stanno nascendo in tal senso, soprattutto nel Sulcis Iglesiente, il quale potrebbe vedere una via di uscita dalla crisi del suo distretto industriale primario proprio grazie all’azione e all’attenzione che l’arte e la cultura stanno rivolgendo a questo territorio.

Immagini:
* Performance di Eleonora Di Marino durante l’Estate Iglesiente
* Alfredo Jaar, Emiliana Sabiu e Bartolomeo Pietromarchi nel Sulcis Iglesiente
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* http://www.artapartofculture.org/2008/08/26/notteggiandoa-iglesias-dedicata-a-j-be…
Imaginario:
fuori dal coro,
IMAGINARY MUSEUM OF CONTEMPORARY ART,
luoghi,
maestri,
parole,
prospettive,
vanità,
zoom
domenica 12 aprile 2009
Buona Pasqua!

("La Resurrezione", di Matthias Grunewald, della pala d'altare di Isenheim, conservato al museo di Colmar, in Alsazia.)
"Quando da spazi universali il sole parla al senso dell'uomo e dal fondo dell'anima si congiunge alla luce, allor dal chiuso dell'egoità migran pensieri nei lontani spazi e ottusamente avvincono allo spirito l'essere dell'uomo."
(R. Steiner, Il calendario dell'anima)
(Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi)
Fratelli, non sapete che un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta? Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi.
Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!
Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità.
Parola di Dio
domenica 5 aprile 2009
Palme e ulivo

"Si racconta che un dotto in scienze naturali (deve essere avvenuto il Inghilterra) disse che preferiva immaginarsi di essere giunto ad essere uomo per forza propria, di essere giunto alla sua attuale condizione superiore trasformandosi a poco a poco dallo stadio scimmiesco, piuttosto che immaginarsi di essere caduto tanto in basso, come uomo, dalle altezze divine di un tempo, come pareva aver fatto il suo avversario, il quale non poteva credere alle semplici rappresentazioni scientifiche. Simili episodi indicano quanto sia necessario trovare la via che porti a dire "Non io, ma l'animale evoluto in me", ma "Non io , ma il Cristo in me". Bisogna cercare di capire queste parole di Paolo; solo allora un vero messaggio pasquale potrà di nuovo entrare nella nostra coscienza dalle profondità della nostra anima."
(R. Steiner, "Pasqua, la festa dell'esortazione". I° conferenza, Dornach, 2 aprile 1920, Venerdì santo. Edizioni Arcobaleno. O.O.198)
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colori,
elementi,
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scienza dello spirito,
tempo
domenica 29 marzo 2009
La borsa del pastore: un antico rimedio erboristico....(qui il link)

"La cornacchia volata sulla strada
con la bacca nel becco scintillante
ti dona il suo pensiero ovunque vada,
ricolma la tua anima esitante.
Anche la borsa del pastore parla
della spirale dei suoi verdi cuori,
a chi la colga sol per ammirarla
nella corona di candidi fiori.
Non tace la Natura se l'ascolti
nutrendoti di luce mattiniera
rispecchiata da mille e mille volti,
nella trama del sole, dolce e austera,
gioiosa a tratti. E a te son tutti vòlti
gli attimi intensi della vita vera."
(Giancarlo Cimino)
martedì 24 marzo 2009
Nebbia primordiale e pianeti: la visione dello spirito.
“Oggi sappiamo che in principio vi era una grande nebbia primordiale nello spazio cosmico, e che essa ha cominciato a roteare. Così facendo, ha eliminato un globo sferico dalla propria massa; continuando a roteare, con l’andar del tempo si è distaccato un secondo globo, e più tardi un terzo e così di seguito. Ma queste immagini non sono altro che una forma di mitologia moderna fisico-coperincana. Essa verrà a sua volta rimpiazzata da un’altra mitologia. Però le mitologie antiche hanno il vantaggio, su quella attuale, di essere più vere di quelle venute dopo; esse non hanno saputo prendere che la sola parte astratta, completamente esteriore e materiale. Bisogna sempre tener presente che è comodo spiegare ai bambini in modo plausibile la formazione di un simile sistema solare: si prende una goccia di un’essenza oleosa, si taglia da un cartone un piccolo disco rotondo, lo si pone nella direzione dell’equatore passandoci dal di sopra uno spillo e lo si mette nel liquido a galleggiare. Si comincia allora a dare al tutto un movimento di rotazione dicendo che così roteava la nebbia cosmica. Infatti si forma prima un appiattimento, poi si stacca una goccia, quindi un’altra, poi una terza – e una grande goccia rimane nel centro; ecco creato un piccolo sistema solare! Sembra allora molto plausibile che quanto viene così dimostrato in piccolo, sia avvenuto anche in grande. Chi però espone queste considerazioni dimentica soltanto una cosa che in altra occasione sarebbe bellissimo dimenticare: dimentica se stesso. Dimentica di essere lui stesso a provocare la rotazione. L’intera dimostrazione sarebbe esatta, se uno di questi bravi professori si degnasse di dire: “Come io sto qui e faccio girare questo spillo, così lassù vi era un gigantesco professore che provvide a far roteare tutto l’assieme affinché si potessero distaccare i pianeti; proprio come abbiamo fatto in piccolo con le nostre gocce di olio”. In tal caso il paragone potrebbe ancor andare.
Noi sappiamo che nessun maestro gigantesco si occupa di girare lo spillo, ma che vi sono entità spirituali di ogni grado, e che esse attirano verso di loro la relativa materia.Le entità che avevano bisogno di speciali condizioni di vita, quando andarono sul Sole attirarono la materia che loro conveniva, e si formarono il proprio campo di azione mediante la potenza delle loro forze spirituali; altre entità separarono per sé la sostanza della Terra. ‘E lo spirito che opera fino alla più piccola particella di materia. Si potrà comprendere ciò che avviene nei più piccoli punti dello spazio, soltanto quando si comprenderà che lo spirito opera ovunque, fino nello spazio illimitato. Né si tratta di uno spirito in generale del quale si possa dire che “in genera la materia contiene lo spirito, uno spirito universale o primordiale”. Cosi’ si creerebbero dei nuovi malintesi, e non si arriverebbe a nulla. Noi dobbiamo riconoscere gli “spiriti” nella loro concretezza, nelle loro particolarità e nelle loro diverse condizioni di vita. […]
Prima che il Sole si potesse distaccare, già era risultata la necessità per certe entità di separare per sé speciali campi di azione. Ciò che esse distaccarono in tal modo sono oggi i pianeti esterni: Saturno, Giove e Marte. Possiamo dunque dire che nella materia complessiva in cui stavano il Sole e la Luna erano pure contenuti Saturno, Giove e così via, e che alcune entità si distaccarono prima con quei corpi celesti. Erano entità che richiedevano appunto le condizioni di vita che potevano venir soddisfatte su quei pianeti. Poi il Sole si separò con tutte le entità più sublimi, lasciando indietro la Terra unita alla Luna. Quest’assieme di Terra e Luna seguitò ad evolversi fin che si verificò la descritta espulsione della Luna. Ma non tutti gli esseri usciti insieme al Sole furono capaci di partecipare all’evoluzione solare.[…] determinate entità cedettero di essere in grado di sopportare il viaggio del Sole. In realtà lo poterono sopportare soltanto le entità più alte; le altre dovettero più tardi separarsene. E per il fatto che tali entità si crearono campi d’azione separati, nacquero Venere e Mercurio. Cosi’ vediamo la separazione di Saturno, Giove e Marte prima della scissione del Sole dalla Terra. Poi si separarono dal Sole Venere e Mercurio, e soltanto dopo la Luna si separò dalla Terra.
Cosi’ si presenta questa evoluzione, dal punto di vista dello spirito.”
(R. Steiner, Il Vangelo di Giovanni in relazione con gli altri tre e specialmente col Vangelo di Luca, O.O. n°112)
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"Un mare di latte": una storia indù

(la Via Lattea)
"Tanto tempo fa, prima che il mondo avesse inizio, non c'era nient' altro che un fiore di loto di un bianco purissimo, galleggiante in un mare di latte. Fra i suoi petali di seta dormiva profondamente Brahma, il creatore. A parte il fiore, però, non c'era nient' altro. A un certo punto Brahma cominciò a destarsi. Aprì gli occhi e, quando fu completamente sveglio, si accinse al compito di creare il mondo. Dalle sue lacrime nacquero la terra, l'aria e il cielo. Il suo corpo disteso diventò l'universo, il giorno e la notte, la luce e il buio, e vennero le stagioni secche e i monsoni, il fuoco, il vento e la pioggia. Dalla sua bocca uscirono capre, dai fianchi mucche, dai piedi elefanti, cammelli, cavalli e cervi. I peli del suo corpo divennero fili d'erba, radici e frutti. E infine Brahma creò i Deva e gli Asura, gli dèi della luce e del buio. Ora, il mare di latte conteneva un liquido magico detto" amrita", l'elisir della vita. Chiunque lo bevesse sarebbe vissuto per sempre. Naturalmente tanto i Deva quanto gli Asura volevano questo liquido tutto per sé. Però l'unico modo per estrarre l'amrita consisteva nel frullare il mare di latte, proprio come si fa per ottenere dal latte il burro o il formaggio, e né i Deva né gli Asura se la sentivano di fare da soli, per cui si misero d'accordo, una volta tanto, per lavorare insieme. Prima bisognava procurarsi una corda e un bastone abbastanza robusti per l'operazione. I Deva ebbero un'idea. «Come bastone per mescolare useremo questa montagna» gridarono, e tirarono giù la grande montagna, il monte Mandara, che sorgeva alta e ripida dal mare di latte. Per non essere da meno, gli Asura annunciarono: «Come corda useremo questo serpente!» ed esibirono il loro reperto: un cobra gigantesco, più lungo di qualunque serpente abbiate mai visto. In effetti non era un serpente ordinario: era Vasuki, il re dei serpenti. Gli Asura arrotolarono il cobra intorno alla montagna, spira dopo spira. Poi lo afferrarono per la testa mentre i Deva lo afferravano per la coda, e cominciarono a tirarlo avanti e indietro, avanti e indietro con tutte le loro forze. Via via che tiravano, il monte Mandara cominciò a roteare dentro le spire del serpente. Vorticava sempre più veloce, così veloce che gli alberi sparsi lungo i suoi pendii si sradicarono e presero fuoco. Per fortuna c'era nei paraggi il dio Indra, che con la pioggia delle sue grandi nuvole provvide a spegnere l'incendio. Ma anche così il pericolo non era scongiurato del tutto. La montagna era tanto pesante che cominciò a perforare la terra come un trapano, minacciando di farla a pezzetti. Allora gli dèi mandarono una tartaruga gigante a sorreggere la montagna, e la terra fu salva. Intanto il mare di latte cominciava a ribollire e spumeggiare: dapprima si formò un colossale gorgo di latte, e poi un burro densissimo. Con gli ultimi residui di energia, i Deva e gli Asura mescolarono un altro po', e dal mare di latte sorsero il sole e la luna, gemme scintillanti e mille altri tesori, e infine il tesoro più grande: un calice d'oro colmo del prezioso amrita, l'elisir dell'immortalità. Nel frattempo i grandi dèi erano rimasti a guardare con estremo interesse, decisi a farsi avanti all'ultimo momento per impedire agli Asura di bere l'amrita e diventare ancora più cattivi di quanto già non fossero. Così, non appena l'amrita sgorgò dal mare di latte, Vishnu, il conservatore, lasciò il suo punto d'osservazione sul vicino monte Meru, scese sulla terra e afferrò al volo il calice d'oro. Ma prima che avesse il tempo di metterlo al sicuro sul monte Meru, uno degli Asura, un demone di nome Rahu, gli strappò dalle mani il calice e cominciò a bere. Il sole e la luna gridarono a Vishnu: «Quello è il demone Rahu, il peggiore di tutti gli Asura! Devi farlo smettere di bere, o ci saranno sofferenze e disgrazie per tutti noi!» Veloce come un fulmine, Vishnu colpì Rahu sulla testa prima che riuscisse a bere tutto l'amrita. Il corpo morto del demone piombò giù verso la terra, mentre la testa saliva nel cielo, urlando di rabbia e digrignando i terribili denti. Non poteva morire perché l'amrita aveva già raggiunto la gola e aveva dato alla testa il dono della vita eterna. A quel punto esplose una tremenda battaglia. I Deva e gli Asura si scagliarono gli uni contro gli altri, brandendo armi fatte di lampi, montagne ardenti e frecce dalla punta di fuoco. Per due giorni e due notti infuriò la battaglia, finché gli Asura non furono costretti ad ammettere la sconfitta. Migliaia di demoni giacevano morti o moribondi; altre migliaia strisciarono via per andare a nascondersi nei pozzi della terra o nelle profondità del mare. I grandi dèi divisero equamente l'amrita con i Deva, e rimisero al suo posto il monte Mandara. L'unico Asura sopravvissuto per raccontare la storia fu la testa di Rahu, destinata per sempre a inseguire la luna, sua mortale nemica, attraverso i cieli. Lo potete vedere con i vostri occhi: ogni volta che Rahu riesce a raggiungere la luna, se l'inghiotte tutta intera ed essa svanisce dal cielo. Ben presto, però, la luna crescente scappa dalla gola di Rahu e ritorna nel cielo."
(storia indù)
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c'era una volta...,
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venerdì 20 marzo 2009
Tra tante parole....il rosario.

1) Si fa il Segno della Croce e si recita il Credo.
2) Si recita un Padre Nostro.
3) Si recitano tre Ave Maria per la fede, la speranza, la carità.
4) Si recita un Gloria al Padre.
oppure
1) Si fa il Segno della Croce e si dice: O Dio, vieni a salvarmi. Signore, vieni presto in mio aiuto. E si recita un Gloria al Padre.
5) Si enuncia il primo mistero (per esempio si dice: Il primo mistero gaudioso: l'Annunciazione dell'Angelo a Maria Vergine) e si recita un Padre Nostro.
6) Si recitano dieci Ave Maria meditando il mistero.
7) Si recita un Gloria al Padre e la Preghiera di Fatima.
8) Si enuncia il secondo mistero e si recita un Padre Nostro.
9) Si recitano dieci Ave Maria meditando il mistero.
10) Si recita un Gloria al Padre e la Preghiera di Fatima.
11) Si enuncia il terzo mistero e si recita un Padre Nostro.
12 ) Si recitano dieci Ave Maria meditando il mistero.
13) Si recita un Gloria al Padre e la Preghiera di Fatima.
14) Si enuncia il quarto mistero e si recita un Padre Nostro.
15) Si recitano dieci Ave Maria meditando il mistero.
16) Si recita un Gloria al Padre e la Preghiera di Fatima.
17) Si enuncia il quinto mistero e si recita un Padre Nostro.
18) Si recitano dieci Ave Maria meditando il mistero.
19) Si recita un Gloria al Padre e la Preghiera di Fatima.
20) Si recita la Salve Regina.
(Si possono recitare le Litanie Lauretane. Si può recitare la Preghiera a San Giuseppe, la Preghiera a San Michele, la Preghiera al Cuore Immacolato di Maria, il Sub Tuum Praesidium).
Si fa il Segno della Croce.
***
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martedì 17 marzo 2009
Vita quotidiana e libertà.

(A. Durer, Adamo ed Eva, 1504)
“[…]La scienza dello spirito distingue sette manifestazioni evolutive della Terra. La prima viene detta «saturnia», la
seconda è quella «solare», la terza è la «lunare»: ci troviamo ora nella incarnazione «terrestre» della Terra. Queste
quattro manifestazioni planetarie abbracciano l’evoluzione del sistema solare (il nostro cosmo di appartenenza) dai
primordi ad oggi e sono concomitanti al lunghissimo processo di evoluzione dell’uomo.
L’incarnazione di Saturno è servita a porre i fondamenti del corpo fisico umano (costituito inizialmente di solo
calore e che è andato condensandosi, fino all’odierna consistenza, nel corso di queste metamorfosi planetarie);
l’incarnazione del Sole ha aggiunto il secondo arto costitutivo dell’essere umano, quello delle forze vitali o corpo
eterico, cioè le capacità di crescita e riproduzione; l’incarnazione della Luna ha reso possibile la terza dimensione,
che è quella dell’anima o corpo astrale, con tutte le facoltà di movimento, reazione a stimoli e sensazione: istinti,
brame e passioni.
Posto questo triplice so strato - che troviamo unilateralmente manifesto nei tre regni di natura: il minerale (corpo
fisico), il vegetale (fisico ed eterico) e l’animale (fisico, eterico e astrale) - siamo ora nella quarta incarnazione della
nostra evoluzione planetaria, la Terra propriamente detta, che porta su di sé il compito evolutivo globale, cioè il
karma, dell’incarnazione dell’Io, il quarto membro costitutivo dell’archetipo dell’essere umano.
Una volta edificati gli involucri fisico, eterico e astrale come triplice «conditio sine qua non» per l’evoluzione
umana, l’incarnazione-Terra ha come meta il pieno conferimento dell’Io all’essere umano. E’ quindi importante
capire cosa sia l’Io e che cosa aggiunga ai precedenti arti costitutivi: l’Io conferisce alla compagine umana la libertà,
l’autonomia individuale, la capacità responsabile di portare il karma, la capacità di distinguere e operare il bene e il
male3. E’ questo dunque un karma che avvolge l’umanità intera.
Possiamo allora dire che il karma della Terra è la libertà, perché la libertà è il carattere fondamentale dell’Io, è il
carattere sommante che ne riassume tutti gli aspetti, compreso l’amore. L’amore è un altro modo di avverare il
mistero della libertà, perché soltanto un essere libero e indipendente è in grado di amare.
Questo karma complessivo dell’umanità e della Terra viene espresso in tutte le grandi mitologie, in tutti i testi sacri.
Pensiamo alla Genesi, dove il primo movimento dell’evoluzione terrestre verso l’individuazione viene chiamato
«peccato originale»4: purtroppo questo passo della Bibbia è stato interpretato in chiave negativa, come se indicasse
qualcosa di moralmente non buono che l’uomo avrebbe potuto evitare.
Il peccato originale è invece la caduta nella frammentazione, è lo staccarsi dell’anima umana dalla matrice
primigenia, è l’inizio del cammino verso la libertà. In altre parole, l’umanità ai primordi dell’evoluzione terrestre era
una sostanza animica unitaria effusa nel cosmo intero, in una condizione che è stata sempre descritta come
paradisiaca: bisognava, però, che essa lasciasse questo paradiso di comunanza e si inserisse sempre di più nella
materia, ormai densa e consolidata.
La materia è il «principium individuationis»: soltanto grazie alla materia ciascuno di noi è nettamente e
definitivamente distinto da un altro essere. Quindi la caduta nella materia è il presupposto universalmente umano per
rendere ogni uomo indipendente e singolo, capace di accogliere l’Io e il karma individuale.
Al contempo la caduta segna l’inizio delle incarnazioni e caratterizza tutta la prima parte dell’evoluzione che
trova il suo punto di svolta nell’incarnazione dell’Essere solare, il Cristo, nel Gesù di Nazareth: le forze dell’Io Sono
(«Logos» e «Io Sono» sono i due nomi esoterici del Cristo nel vangelo di Giovanni) penetrano nell’umanità e ha
inizio per tutti la seconda parte dell’evoluzione, il cammino di risalita.
Nei vangeli si parla di reincarnazione e karma?
Potremmo chiederci: se è vero che il Cristo è venuto proprio a portare questa svolta evolutiva nella
consapevolezza umana, come mai nei vangeli, per esempio, non si trova nulla di tutto ciò?
Non possiamo qui trattare dell’origine ispirativa dei testi sacri che l’umanità possiede5, ma, in relazione al tema
del karma, possiamo dire che nella misura in cui l’essere umano evolve secondo libertà, egli sviluppa al contempo un
organo conoscitivo, una capacità più illuminata di lettura che gli consente di scoprire nel testo evangelico cose che
prima non vedeva.
La reincarnazione, nei vangeli, c’è o non c’è? C’è per chi la vede e non c’è per chi non la vede! Se tutti possiamo
constatare che nei vangeli non esiste nessuna affermazione esplicita contro la reincarnazione, non possiamo però
nemmeno dire che essa venga affermata palesemente.
Non è nemmeno vero che nei primi secoli del cristianesimo fosse così chiara e evidente la convinzione della
reincarnazione: ci sono solo accenni e lo stesso Origene, a cui ci si rifà come a una personalità convinta della
reincarnazione, esprime pensieri che non è facile riferire esplicitamente alla reincarnazione. Quindi già nei primi
secoli cristiani la prospettiva delle ripetute vite terrene non vive nella coscienza occidentale.
Dall’altro lato va sottolineato il fatto che non è vero che il dogma cattolico contenga la non-reincarnazione, non è
vero che faccia parte del dogma cattolico che la vita sia una sola. La chiesa cattolica (parlo di cattolicesimo, ora, non
di cristianesimo) non ha mai definito questa questione, non ha mai detto l’ultima parola: la questione della
reincarnazione è pertanto aperta. Perciò un cattolico che sia convinto della reincarnazione non è un «eretico» perché
non va contro nessun dogma della chiesa cattolica.
C’è sempre stata, però, l’opinione comune (si chiama proprio opinio communis, in teologia) dei teologi cattolici e
cristiani, soprattutto dell’ultimo millennio, che l’uomo viva una volta sola; ma un’opinione teologica comune non
basta per fare un dogma.
Il senso storico di questo dilemma è che l’umanità occidentale doveva vivere un lungo periodo di tempo senza la
consapevolezza della reincarnazione: questo buio dello spirito ha consentito il libero procedere verso il materialismo
che, una volta raggiunto il suo apice, pone le migliori premesse perché singole individualità, per un autentico e libero
impulso, possano riscoprire antichi tesori di sapienza con piene forze di coscienza.
Una consapevolezza scientifica della reincarnazione - così come la consente, appunto, la scienza dello spirito -
non può essere un fenomeno di massa: come Parsifal non trovava la risposta perché non era ancora in grado di porre
la domanda, così soltanto chi porta incontro ai testi sacri delle autonome premesse conoscitive, risultato di tanti sforzi
e di tante prove, scopre cose che prima non aveva nemmeno intravisto6.
La gioia del riconquistare le conoscenze più profonde dell’evoluzione a partire dalle forze individuali della nostra
libertà non porta con sé un atteggiamento di ostilità nei confronti delle confessioni religiose o delle chiese: «chiesa» è
anima di gruppo, è lo strumento necessario per gli esseri umani che hanno bisogno di una conduzione dall’esterno.
Questo bisogno c’è stato, ma è anche evidente che, prima o poi, esso dovrà cessare: uscendo dal «gregge» il
singolo essere umano impara a stare saldo sulle sue gambe. Sarebbe karmicamente errato, inoltre, pretendere dalla
chiesa, in quanto istituzione, il riconoscimento della scienza dello spirito che, come tale, si rivolge soltanto
all’individualità autonoma del singolo e pertanto non può avere come interlocutori o referenti delle realtà di gruppo,
gerarchicamente organizzate.
Il rapporto sociale degli esseri umani fra loro passa, per evoluzione, da una condizione ecclesiale, comunitaria, di
stampo animico ad un’interazione organica e vivente degli esseri, possibile soltanto al livello libero e autoreggentesi
dello spirito, dell’Io. La piena autonomia del singolo è l’unica base reale per la fondazione di comunità fra gli esseri
di oggi e di domani.
Reincarnazione e metempsicosi
Dopo quanto abbiamo detto è bene chiederci come mai R. Steiner dica che l’operare stesso del Cristo
nell’interiorità degli esseri umani ha fatto scomparire l’antica consapevolezza della reincarnazione, del tutto
insufficiente per una umanità che vive dopo l’evento del Cristo.
A chiarimento di questo consideriamo alcune differenze fondamentali tra il modo di concepire la reincarnazione
nell’Oriente precristiano e quello che sorge oggi in occidente in chiave cristica:
1. la prima differenza sta nel fatto che l’Oriente aveva mantenuto più a lungo dell’Occidente l’antica
chiaroveggenza atavica e il conseguente convincimento della reincarnazione: questa consapevolezza aveva un
carattere automatico, spontaneo, offerto «per grazia» a ogni essere umano, senza essere una conquista delle libere
forze conoscitive. La tradizione si basava dunque sulla memoria diretta e precisa del prenatale.
Ora, proprio questo carattere istintivo doveva scomparire per dare la possibilità a ogni singolo essere umano di
riconquistare la consapevolezza della reincarnazione non per tradizione, non per convincimento di anima di gruppo,
ma in base a un cammino di pensiero gestito individualmente e liberamente. E’ questo un primo motivo del perché,
con l’avvento del Cristo, è andata gradualmente scomparendo l’antica coscienza della reincarnazione;
2. un secondo aspetto di diversità sta nel fatto che la tradizione orientale non poteva storicamente portare in sé
una vera e propria esperienza dell’Io: non che l’induismo e il buddhismo non avessero intuito a livello conoscitivo la
realtà dell’Io, ma mancavano ancora le forze reali stesse dell’Io - e quindi la possibilità di sperimentarle veramente -
perché il Cristo, l’Io Sono, non era sceso ancora sulla Terra a portarle.
Perciò dove a noi sembra che in Oriente si parli di reincarnazione in realtà si parla di metempsicosi, cioè del
trapasso di una sostanza animica da una corporeità all’altra, di trasmigrazione di correnti astrali e non di un vero e
proprio cammino dello spirito umano, cioè dell’Io individuale.
Oggi, grazie alla scienza dello spirito che pone come impulso fondamentale del divenire le forze del Cristo, sorge
di fatto per la prima volta nell’umanità la consapevolezza della reincarnazione dell’Io, dell’individualità libera che
decide sempre di nuovo di ricostruire una «casa» corporea a misura sua. Questo è un pensiero cristico perché parla ad
ogni essere umano sulla faccia della Terra, senza distinzioni di cultura, di razza o di religione.
La parola «Cristo» ha assunto un peso europeo e occidentale divenendo sinonimo di un patrimonio religioso e
culturale che, anche se dichiara di volgersi all’umanità intera, si muove secondo il criterio delle confessioni e lo
difende: ma il Cristo può essere chiamato l’Essere del Sole, l’Essere della Terra, l’Essere della Libertà, l’Essere
dell’Amore... L’evento del Cristo non si è avverato per generare «cristiani», ma per rigenerare uomini; […]”
(da “Karma e libertà. Nella vita quotidiana”, di Pietro Archiati, 1997 L’Opera Editrice srl Via A. Serranti, 51
00136 Roma)
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sabato 14 marzo 2009
Il tempo: un guardiano

"Il sonno offre una buona immagine della morte appunto perchè durante il sonno l'uomo è sottratto alla scena ove lo attende il suo destino. Mentre si dorme, su quella scena gli eventi continuano a svolgersi. Per un certo tempo, non abbiamo nessuna influenza sul loro decorso. Eppure la nostra vita di oggi dipende dagli effetti delle azioni compiute ieri.La nostra individualità si reincarna realmente ogni mattina nel mondo delle nostre azioni. Ciò che durante la notte era separato da noi, ci avvolge per così dire durante la giornata."
(R. Steiner,Teosofia,O.O. n° 9)
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venerdì 13 marzo 2009
Tempo di nostalgia...Otranto, le mie origini
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